C’era una volta alla Mondadori editore un collettivo donne che univa le impiegate di varia posizione dell’azienda, e io vidi le foto di questo gruppo – me le mostrò la mia amica A. che vi aveva partecipato – addobbato per una festa al femminile di chissà qual Carnevale.
La risata, la serie di risate, dell’uomo a disagio, sghignazzante e esilarato dalla disperazione, interpretato da Joaquin Phoenix in Joker, hanno echi potenti e sembrano proiettare la storia di un miserabile clown di Gotham City, abbarbicato a sogni deliranti e a una madre possessiva, assai lontano da ogni tentazione fumettistica.
Non credo che qualcuno si stupisca di sapere che Bret Easton Ellis, autore di LessThan Zero, è depresso e scazzato, ansioso e cedevole alla rabbia, perché inseguito da chi gli chiede puntualmente del nuovo romanzo, a nove anni da ImperialBedrooms.
È il secondo degli 8 tracks di L’ultima nuvola sui cieli d’Italia (1990), terzo album di Lucio Quarantotto. Partecipò, dice Wikipedia, al Cantagiro 1991. È una canzone che esiste anche senza la musica.
Mi è capitato con Nina Verdelli, nelle lunghe ore trascorse in redazione di un noto magazine di moda, di commentare con fare sdegnato: ehi, ma hai visto, è uscito un romanzo… di Mario Talpa, l’esperto di feste trasgressive… ha scritto un libro trash sulle discoteche naziste!
In un vecchio libro di poesie, The Energy ofSlaves, il libro della malattia, Leonard Cohen diceva più o meno: quando le coseandarono male/ non mi uccisi né mi misi a insegnare.
Quante citazioni puoi fare, in immagini e testo, prima di finire in un pastiche pop o in un pasticcio tout court? Infinite, se hai il talento della narrazione.
L’impossibilità di leggere o rileggere – tanto è lo stesso – Autoritratto entro uno specchioconvesso di John Ashbery (1927-2017) affrontando lo scacco di un inevitabile sfasamento, sembra l’unica eventualità che mi si propone, appena saputo che – passata da Aldo Busi a Damiano Abeni la traduzione italiana (e cambiando l’in in entro) – il poema riappare a settembre per Bompiani&Giunti, munito dello storico scritto di Harold Bloom a mo’ di introduzione.
Per prepararsi spiritualmente alla nuova stagione di X-Factor, è utile ascoltare Rockstar del neo giudice Sfera Ebbasta, noi lo abbiamo fatto nella versione International da 11 tracks.
Come l’ultima sentinella dell’Occidente o un nonno premuroso ma severo, o forse solo equanime, Maurizio Cucchi il poeta legge tutti i giorni sulle pagine milanesi de laRepubblica i versi dei poeti nascosti, quelli della domenica, quelli come noi. A ogni debuttante allo sbaraglio, sia colto o sia naïf, pubblica un pezzetto dell’opera, e fa una quieta ma magistrale osservazione.
Alcune volte, mi capita di pensare a quanto borghese e milanese, e naturalmente senza dio, sia stata la mia vita, pur trascorsa sui supposti bastioni dell’anticonformismo. Mi capita allora, e poi spiego perché, di recitare tra me e me a mo’ di preghiera qualche verso di Padre David Maria Turoldo (1916-1992), prete, poeta e filosofo, resistente antifascista e illuminata figura post conciliare, e con quei pochi versi ne ricordo la lunga, coraggiosa esistenza, le varie facce dei suoi talenti, e provo a spiegare insieme la mancanza o la miseria dei miei.
David Crosby a Milano, il settembre scorso, concedeva l’antico repertorio, sereno e in apparenza non segnato dall’età. L’applauso ha lasciato il posto agli occhi lucidi per la doppietta finale degli encore: Ohio e Almost Cut My Hair, addirittura, cioè un bis duro per dire di una doppia irriducibilità, politica (la canzone contro la repressione di Nixon) e personale, proclamata con orgoglio a quasi ottant’anni, quasi non fossero appassite la vecchia rabbia e il sarcasmo, il desiderio di rivolta e la fede nell’utopia.
Ci sono, nei dintorni immediati della poesia, stanze tutte per sé, attigue magari ad attici per madwomen, e stanze quotidiane, che sono puro metro, ovvero un’evenienza ritmica che misura il tempo.
Sono seduto nel sole d’inverno dell’area cani di piazza Aspromonte, un rettangolo di poveri giardinetti aperto a due passi da piazzale Loreto. Vedo a cento metri da me due botteghe con insegne orientali che hanno sostituito un vecchio e polveroso ristorante cinese, frequentato per i prezzi bassi molti anni prima che andasse di moda il Giappone del sushi – e quindi i gestori non avevano ancora aggiornato i loro menu, né cambiato casacca, presentandosi a loro volta come figli del Sol Levante: tanto a Milano chi distingue un cinese da un giapponese?
È il 1988, Lucio Quarantotto si esibisce al Club Tenco – la rassegna della musica d’autore che si svolge per paradosso nello stesso Teatro Ariston che ospita la musica più leggera; è una performance che ricordo molto bene, Lucio esegue Tripoli ma, non avendo l’arrangiamento pronto, la ‘dice’ lentamente, battendo il ritmo con un martello su un secchio.
Se volessi fare un complimento a Carlo Zanda per la ricostruzione di un punto nodale, quanto poco investigato, della vita di Primo Levi, è l’aver usato un garbo particolare, anzi una cautela assoluta, quanto mai necessaria trattando di argomenti segnati dalla più feroce delle storie, la Shoah, e trattando di un uomo come Primo Levi, che ha dovuto fare i conti con se stesso, conti di definizione e di progettazione del futuro, dopo aver conosciuto le condizioni di vita e di morte del lager.
Un gruppo di amici di provato assortimento (il bello, la bella, il nerd, il ciccione…) si reca in un luogo straniero. Dapprima conquistato dalle novità, il gruppo finisce quasi subito risucchiato in un incubo. Da cui solo uno (o una coppia) uscirà vivo. Da Non aprite quella porta a Cabin Fever, da Hostel fino all’ultimo degli horror movies, questa è la ricetta.
È appena uscito a nome Machete Crew l’album Machete Mixtape 4, a cinque anni dal precedente, ed ha subito battuto il record italiano di stream (54 milioni in una settimana), schierando tutti i componenti dell’etichetta, mescolando i vecchi e i nuovi (Tha Supreme e Young Miles sono minorenni), e ospiti come Fabri Fibra, Marracash, Gemitaiz, Ghali, Izi e Tedua.