
Per prepararsi spiritualmente alla nuova stagione di X-Factor, è utile ascoltare Rockstar del neo giudice Sfera Ebbasta, noi lo abbiamo fatto nella versione International da 11 tracks.
Rockstar: l’ispirazione a raggiungerne lo status gonfia il primo pezzo dell’album e altro non significa che imbustarsi nella sfilza dei luoghi comuni del successo i quali, poiché ci troviamo in una sequenza di canzoni, sono prima di tutto linguistici e sonori – tipo melodia e morbidezze pop, febbricole latine, flow scaltro con auto-tune a manetta.
Le ragazze si chiamano bitch o troie, gli accessori sono Fendi, le auto tedesche (non Tesla!), se appiedato la trapstar sceglie Uber, gli amici sono fra o frati, nel caso stiano in gabbia gli si invia completi Nike, i soldi plurievocati sono il cash cioè la vita stessa, sebbene questo motore del tutto – più che la struttura marxiana che spiega il mondo – rappresenti il medium per pagarsi uno sterotipato paradiso sociale.
Manca ossigeno, si soffoca nel pallone artificiale della trap italiana – avete presente quei tendoni dove si gioca a tennis d’inverno? È angusto lo spazio e si fa subito di maniera la parola, codificata nell’asfittica lirica di una scuola minore, perché non esiste nella realtà. Siamo in un luogo d’invenzione e d’imitazione dal verbo – quello sì concreto – che viene dagli Usa. Forse solo in Leggenda appare un minimo di sfondo sociale, si intravede a un tratto una banlieu di poveracci alle prese con la x-box nei loro palazzi.
L’auto-tune di cui Sfera fa largo uso può aiutare a correggere l’intonazione, ma è make–up più che sostanza, non può creare realtà, semmai moltiplicare la sensazione che nella trap la produzione o la post produzione siano tutto, come nelle fotografie di moda scattate dai dilettanti.
Quello che colpisce di più è la subcultura dell’arraffo, esemplificata in Uh Ah Hey, dove ci si imbatte in versi che illuminano l’humus di cui si è nutrito l’incidente di Corinaldo, con gli appuntamenti di Sfera accavallati in agenda, sovrapposti nell’identica sera, con i luoghi dello show uniti da supposte corse alla Fast and Furious:
Faccio tardi stanotte, honey/Corro verso i money
E alla tragedia si abbina bene, a contrasto, pure il ridicolo di questi altri due versi, che precedono la comparsa in scena di un autoproclamato pagliaccio:
Senti il rumore delle mie collane/Sembra la slitta di Babbo Natale
La rockstar sogna del resto di girare con i soldi stipati in un trolley… Ed ecco il punto che rende particolarmente antipatico Sfera. Gioca tutto il tempo colpendo il nastro della rete nel campo da tennis coperto dal tendone: fa capire di non prendersi sul serio, perché non sarebbe cool, e si beffa quindi di chi lo paga, di chi scopa con lui (per due ore come Vanessa-la-campionessa), di chi lo insegue, di chi gli chiede il selfie all’autogrill, gente a cui tutto sommato e in fondo in fondo lui piscia addosso (XNX)… Non si prende sul serio, dicevamo, per sentirsi davvero – la pallina cade sempre, toccando il net, dall’altra parte – il più fico della compagnia. Sfera Ebbasta? Ma piantala, viene da suggerirgli, di fare il pirla.