
Ci sono, nei dintorni immediati della poesia, stanze tutte per sé, attigue magari ad attici per madwomen, e stanze quotidiane, che sono puro metro, ovvero un’evenienza ritmica che misura il tempo.
Poi, esistono le stanze vere, colte nella luce fredda di una mattina d’inverno, oppure illuminate dal lampo azzurro delle TV di una volta, che danno per caso la notizia della morte di Kennedy, nel 1963, e ridisegnano i confini del mondo; ci sono stanze, nelle case che sono state dei genitori, anzi camere, a cui si arriva per le scale, salendo gradino dopo gradino (sono quotidiane per questo), e al momento sembra che possano contenere noi che ci abitiamo; quarant’anni dopo, invece, riapriamo la porta e siamo stupiti che le pareti abbiano tenuto agli tsunami del tempo, allo sconvolgimento dei sogni spropositati, allo scoppio dell’adolescenza che si è aperta disordinatamente, a strappi, verso le altre stagioni della vita (le stagioni del paradiso o dell’inferno?).
Ho amato la concretezza di chi sa fare un riassunto di un’esistenza nell’onestà di versi che mescolano le cose finalmente capite ai dati rimasti insondabili: ho amato questo, la compostezza prima del resto, dopo la confusione, la precisione concreta delle parole scelte nelle poesie di Occhi per sentire (edito da Il Leggio, nella collana Radici) di Patrizia Puleio, milanese di Sicilia, classe 1957, poetessa e pittrice.
Patrizia Puleio, nel suo libro, ha usato la poesia in uno dei modi più utili e nobili, l’ha presa in sé fin da ragazza come un’ecologia mentale, un baluardo contro il conformismo, l’apertura di sensibilità che permette di conoscere, o almeno avvicinare, l’altro da sé; e nel caso ciò non sia stato fattibile, capibile al momento, Patrizia ha in seguito saputo conquistarsi con pazienza d’artista una chance di guardare dentro il caos, la sofferenza….
Oggi, qui, ha fermato le sue parole con calma e coraggio, aspettando che prendessero la forma giusta per offrire il viso più sereno, e i colori più belli, anche al passato meno riparabile. Mentre compiva questa operazione, viaggiando all’indietro nel tempo, Patrizia ha continuato a camminare in avanti, perché si è ricordata che la nostalgia non è più un percorso per noi, che non è dato più un vero ritorno; se lo ha detto Jean Starobinski, dobbiamo dargli retta, bisogna andare avanti per ritrovarsi diversi alla nuova partenza. Così ha sospeso al prossimo passo gli omaggi, i dialoghi privati recuperati con il padre e la madre, quelli pubblici con gli amati Antonia Pozzi o Cesare Pavese. E ha concretamente dedicato a un viaggio quasi fisico e non solo metaforico, com’era fisica la camera di cui dicevamo, una grande parte del suo libro. Un poema intero.
Ho amato tutto del libro di Patrizia Puleio, acutamente prefato da Luigi Cannillo e chiuso da un’intervista di Susanna De Ciechi. Anche se è in quella piccolissima camera di ragazza che vedo ora Patrizia, seduta per terra, mentre si accende una sigaretta, e comincia di nuovo a pensare in termini di poesia. Sul giradischi gira Pink Moon.