Grandi tracks. SWEET JANE di LOU REED. Tutta la vita tra il SILENZIO e il RIFF (e un ricordo del 75)


Tra le domande esistenziali che chiunque può porsi la mattina sotto la doccia, ce n’è una piuttosto petulante: ma il nostro destino – ecco la domanda da ripetenti in filosofia morale – è già scritto nei minimi particolari o abbiamo la possibilità di cambiare qualcosa entro le coordinate in cui ci muoviamo intontiti dalla prosaicità quotidiana e dall’insignificanza?

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JOHN ASHBERY e l’ultima chance di leggere AUTORITRATTO ENTRO UNO SPECCHIO CONVESSO

L’impossibilità di leggere o rileggere – tanto è lo stesso – Autoritratto entro uno specchio convesso di John Ashbery (1927-2017) affrontando lo scacco di un inevitabile sfasamento, sembra l’unica eventualità che mi si propone, appena saputo che – passata da Aldo Busi a Damiano Abeni la traduzione italiana (e cambiando l’in in entro) – il poema riappare a settembre per Bompiani&Giunti, munito dello storico scritto di Harold Bloom a mo’ di introduzione.

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LA POESIA PERFETTA. Andando a bottega da MAURIZIO CUCCHI

Come l’ultima sentinella dell’Occidente o un nonno premuroso ma severo, o forse solo equanime, Maurizio Cucchi il poeta legge tutti i giorni sulle pagine milanesi de la Repubblica i versi dei poeti nascosti, quelli della domenica, quelli come noi. A ogni debuttante allo sbaraglio, sia colto o sia naïf, pubblica un pezzetto dell’opera, e fa una quieta ma magistrale osservazione.

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PADRE TUROLDO. La libertà umana e il LIMITE DI DIO

Alcune volte, mi capita di pensare a quanto borghese e milanese, e naturalmente senza dio, sia stata la mia vita, pur trascorsa sui supposti bastioni dell’anticonformismo. Mi capita allora, e poi spiego perché, di recitare tra me e me a mo’ di preghiera qualche verso di Padre David Maria Turoldo (1916-1992), prete, poeta e filosofo, resistente antifascista e illuminata figura post conciliare, e con quei pochi versi ne ricordo la lunga, coraggiosa esistenza, le varie facce dei suoi talenti, e provo a spiegare insieme la mancanza o la miseria dei miei.

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LA WOODSTOCK NATION e i baffi bianchi di DAVID CROSBY

David Crosby a Milano, il settembre scorso, concedeva l’antico repertorio, sereno e in apparenza non segnato dall’età. L’applauso ha lasciato il posto agli occhi lucidi per la doppietta finale degli encore: Ohio e Almost Cut My Hair, addirittura, cioè un bis duro per dire di una doppia irriducibilità, politica (la canzone contro la repressione di Nixon) e personale, proclamata con orgoglio a quasi ottant’anni, quasi non fossero appassite la vecchia rabbia e il sarcasmo, il desiderio di rivolta e la fede nell’utopia.

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STORIE. FRANCO FERGNANI a piazza della Fatticità

Sono seduto nel sole d’inverno dell’area cani di piazza Aspromonte, un rettangolo di poveri giardinetti aperto a due passi da piazzale Loreto. Vedo a cento metri da me due botteghe con insegne orientali che hanno sostituito un vecchio e polveroso ristorante cinese, frequentato per i prezzi bassi molti anni prima che andasse di moda il Giappone del sushi – e quindi i gestori non avevano ancora aggiornato i loro menu, né cambiato casacca, presentandosi a loro volta come figli del Sol Levante: tanto a Milano chi distingue un cinese da un giapponese?

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LUCIO QUARANTOTTO. Come un film sul muro, un album a 7 anni dal suicidio

È il 1988, Lucio Quarantotto si esibisce al Club Tenco – la rassegna della musica d’autore che si svolge per paradosso nello stesso Teatro Ariston che ospita la musica più leggera; è una performance che ricordo molto bene, Lucio esegue Tripoli ma, non avendo l’arrangiamento pronto, la ‘dice’ lentamente, battendo il ritmo con un martello su un secchio.

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