Poeti perduti. Giampiero Neri in Piazza Libia

Dopo aver lasciato il lavoro e poiché non avevo finalmente più niente da fare, ho incominciato a camminare per Milano con la mia piccola Bughi. Certe volte, io e Bughi perlustravamo strade e quartieri fino ad allora ignoti, di cui conoscevo a malapena il nome e, se vi ero passato, lo avevo fatto di fretta.

Per questo, nei nostri lunghi giri a piedi siamo finiti a volte in piazza Libia, famosa per un libro di Giampiero Neri e perché legata alla storia complicata e affascinante dei due fratelli Pontiggia – dei due, essendo passato per Mondadori, mi era più famigliare il Peppo (lo sentivo sempre chiamare così, anche se oggi il Corriere lo rinomina Peppe).

Comunque. Non avevo certo intenzione di citofonare all’appartato Giampiero Neri e di rompergli le scatole, mi piaceva piuttosto perlustrare la quotidianità di un luogo, di una piazza, che aveva per genius loci un grande scrittore – posto che esistano i genii loci, così come esistono i local heroes; è più certo che esistono i grandi scrittori.

In quei giorni, avevo appena letto la storia della cagnetta Lilli in quel folgorante brano di Non ci saremmo più rivisti (Interlinea) e mi è capitato di sfogliarlo seduto su una panchina di piazza Libia, sperando forse di incontrare Neri insieme a Lilli (ritornata con lui nonostante l’addio).

Di quei giorni, delle parole e dei versi di Neri, mi rimane oggi una catasta di libri e libretti (mi mancano scopro oggi le ultime quattro plaquette di Ares)… Mai come quando finisce una vita, anche se lunga, anche se fortunata, i libri appaiono desolatamente inutili.

Quelli di Neri lo sembrano ancora di più perché con essi il poeta ha lottato garbatamente contro la dimenticanza del mondo, spesso in difesa di cose considerate altamente dimenticabili: posti e fatti, oggetti e persone non illustri – il signor Fumagalli, per esempio – e i tanti animali di una personale etologia – sia elefanti sia lumache… Cose vive e inanimate che appartengono al prezioso e sicuro lavoro di Neri sulla scrittura e sulla memoria, in un solitario accumulo di “diamanti e detriti” che adesso restano a brillare (anche i detriti, certo!) nelle pagine…

“Nel momento del distacco la Lilli, questo era il suo nome, aveva tentato di non farsi prendere e mi aveva lanciato uno sguardo che non potrò dimenticare. Pieno di paura e di sentimento, soprattutto umano. Non ci saremmo più rivisti” (da Non ci saremmo più rivisti, Interlinea)

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