
Un gruppo di amici di provato assortimento (il bello, la bella, il nerd, il ciccione…) si reca in un luogo straniero. Dapprima conquistato dalle novità, il gruppo finisce quasi subito risucchiato in un incubo. Da cui solo uno (o una coppia) uscirà vivo. Da Non aprite quella porta a Cabin Fever, da Hostel fino all’ultimo degli horror movies, questa è la ricetta.
Dipende tutto dalla bravura del cuoco. E il trentenne statunitense Ari Aster, con Midsommar – Il villaggio dei dannati, alla seconda prova dopo il complesso Hereditary, è assai abile. Un costruttore di atmosfere e di mondi, che è pure un ottimo cineasta di dramma urbano: può concedersi i primi venti minuti da ‘film senza etichette’ di pura angoscia metropolitana sul tema della follia e del suicidio. Ricordatevene a fine proiezione.
Quindi, il suo gruppo di studenti – uno dei quali con fidanzata problematica, che ha subito un orribile vulnus famigliare – fanno le vacanze intelligenti, essendo intrippati di antropologia, in una apparentemente solare comunità svedese di simpatici svitati: i quali vivono nel verde, vestono di bianco, sorridono troppo, e hanno creato un autentico world apart fondato su simbologie naturali e munito di accoglienti dimore in legno, dal dormitorio al tempio, alla baracca con la porta ‘da non varcare assolutamente’, forse un po’ scomode ma accattivanti.
Ogni nove anni gli amabili picchiatelli eleggono una reginetta di maggio al culmine di una serie di rituali da comune post hippie in cui si assumono ogni due per tre intrugli dai poteri allucinogeni. Basterà dire che il Libro delle Scritture a cui si attengono – scarabocchi e pasticci di colore – è vergato da un nano deforme, il più ultimo degli ultimi e quindi il più vicino al cielo.
Serve questo per capire che, come in tutti gli horror che si rispettino, quando Mark, l’antipatico del gruppo di studenti, dice ‘Torno subito’, non lo vedremo più. Eppure Aster, nuovo astro del genere, incrociando La lotteria di Shirley Jackson e uno sfigato film di setta con Nic Cage, The Wicker Man, ed echeggiando distopie giovaniliste alla Maze Runner, produce 140 minuti che portano lo spettatore da un’altra parte e lo fanno vivere in un altro posto per il misero prezzo del biglietto. Poi, noi, diversamente dalla reginetta di maggio, incoronata dopo infinite violenze e visioni e distorsioni del reale che hanno solleticato con astuzia le nostre ansie, siamo proprio felicissimi di tornare a casa.
Aster, invece, non è ancora soddisfatto del piccolo universo svedese che ha costruito e disegnato dal nulla in un luminoso set in Ungheria – il suo è infatti un horror abbacinante, ignaro delle consuete tinte cupe – e sta rimontando Midsommar con una buona mezz’ora in più: il director’s cut dovrebbe fare ammenda di alcuni snodi narrativi troppo ellittici.