
Di Pupi Avati, da giovani cinefili, apprezzavamo con riserva il tocco agrodolce (Una gita scolastica), preferivamo la bizzarria (Bordella) e la cattiveria quando c’era (Impiegati e poi più tardi Regalo di Natale); eravamo però tutti d’accordo su un piccolo capolavoro artigianale, una perla gotica che sembrava isolata nella produzione di Pupi, finché non venne Zeder: La casa dalle finestre che ridono (1976). Tutti ci spaventammo molto. Tornammo a casa raso muro. Ed era la prova che quello era un grande film.
Passa il tempo e Pupi Avati risorge da cinque anni di silenzio e di beghe produttive con un nuovo film gotico. Sceneggiandolo con il figlio Tommaso e affidando a tutti i vecchi sodali una parte: sono compresi nel gruppo di avatiani uno ieratico Lino Capolicchio (qui prete, era il giovane restauratore ne La casa) e il gigantesco sagrestano Gianni Cavina (‘diobono, il Coppola’, vi ricordate?).
Bene, Il signor Diavolo è un gotico differente per tono e background dal prototipo, nato peraltro nella stagione del thriller alla Dario Argento. Ne è quasi una versione seria, priva intanto di ogni leggerezza e ironia, e decisamente splatter in un modo macabro e persino compiaciuto, ultimativo.
Il signor Diavolo ci conduce quasi, passo dopo passo, addentrandosi nelle cupe Valli di Comacchio degli anni Cinquanta, a lasciare il bordo sottile di razionalità su cui cammina lo sfigato Momentè, funzionario che indaga su un delitto a sfondo religioso dannoso per la buona vecchia Dc; ci porta, dicevamo, tra un effettaccio e l’altro di Sergio Stivaletti, a credere sul serio all’esistenza del signor Diavolo, ‘signore’ perché ci vuole comunque un po’ di rispetto a nominare il male.
Il ragazzino innocente colpevole di una terribile vendetta nata da un’ostia calpestata. Il giovane mostro zannuto che è a un tempo vittima e carnefice. La madre di lui, Chiara Caselli, vedova nera inquietante e inquieta. Il sagrestano Cavina che entra e esce dalle tenebre della vicenda, spiegando ai bambini il lato oscuro del catechismo. L’esorcista Haber, un dentista ambiguo, il buon inquisitore Massimo Bonetti… Ecco, vengono tutti frullati in 86 minuti di magico cinema nero, ghiacciato in colori seppiati, dall’impersonificazione terrena di un vero e abilissimo demonio. Che alla fine del film – scopriamo – ha un nome e cognome. Pupi Avati, classe 1938, di Bologna. Sì, Pupi, forse questa volta ci siamo spaventati anche di più.
Il film, che abbiamo visto in anteprima, verrà distribuito dal 22 agosto. Ne riparleremo.