SILVIO D’ARZO, il prete e Zelinda, ma siamo tutti in CASA D’ALTRI

Navigava nei nostri scaffali, compariva nelle borse di cuoio dove mettevamo i libri dell’università, uno scarno volumetto Einaudi, Casa d’altri di Silvio D’Arzo, di cui sapevamo poco: l’autore era morto giovane e il racconto, uscito postumo per la prima volta nel 1953, si chiamava, in una delle precedenti redazioni, Io prete e la vecchia Zelinda. “Un’assurda vecchia: un assurdo prete: tutta un’assurda storia da un soldo”, questo l’abstract con iper understatement che si legge nel finale.

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GRANDI SCRITTORI. László Krasznahorkai e l’Ungheria disperata de IL RITORNO DEL BARONE WENCKHEIM (Bompiani)

Sfondo una porta aperta dicendo che uno dei temi di László Krasznahorkai (Gyula, Ungheria, 1954) è l’aspettare dei pezzenti, l’estrema speranza che agita i miserabili. Si ritrovano in complottante attesa attorno allo Stabilimento abbandonato di Satantango (1985), presidiano il carrozzone misterioso di Melancolia della resistenza (1989), affollano la stazione della cittadina angusta che pare ritrovare un soffio di vita all’arrivo di un aristocratico demente ne Il ritorno del barone Wenckheim (2016, edito ora da Bompiani).

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