Due racconti NERI nella MILANO feroce di GIORGIO SCERBANENCO

È tutto spigoli e antipatia il magrissimo Giorgio Scerbanenco (1911-1969): fa il duro senza un pizzico di cuore mentre noi, ormai, siamo abituati allo scrittore di noir bonaccione e di sinistra, ironico e smart pur se dipinge scenari da tregenda.

Scerbanenco è at his best in questi due brevi racconti, trenta pagine l’uno, ripescati tra i 22 di Milano Calibro 9 (Garzanti, 1969) da La Nave di Teseo nella collana eBook Gli Squali, e ambientati negli anni Sessanta, tra la Stazione, Corso Buenos Aires, i Bastioni, dove c’era ancora la nebbia, Porta Vigentina e via Ripamonti, laggiù in fondo, tra i poveri e i balordi.

Al lettore, Scerbanenco trasmette la claustrofobia di una società che non guarda in faccia nessuno: si corre su rotaie, e ognuno ha la sua parte in commedia, una parte segnata, non fosse per il destino che ha il compito semmai, se sei sfigato, di far precipitare di più le cose.

Mentre i borghesi lavorano o dormono dopo una giornata operosa, i teppa sognano la lira, e le ragazze che li amano vogliono redimerli o sono pronte a battere il marciapiede. Ma neppure i poliziotti conoscono il futuro – come è detto in una sentenza fulminante – e se non lo conoscono loro, che sono più vicini a dio, cioè al capitale della società del boom

Infatti. Primo racconto. Una storia di contrabbando di valuta che procede regolare come un congegno ad orologeria dalle parti della Centrale si trasforma in una beffa sanguinaria.

Secondo racconto. La rapina al distributore di benzina organizzata da due orologiai disoccupati – appunto: cioè gente che dovrebbe sapere come funziona il meccanismo – per disgrazia finisce in strage. Di buoni non ne appaiono, al massimo ci sono facenti funzioni di buono, in un mondo che fila così e amen.

Ho ritrovato nell’italiano meccanico e ruvido e nei cliché di Scerbanenco (be’ sì, sono i cliché di un narratore popolare) l’attrazione e la ripulsa di quand’ero ragazzino e scoprivo i romanzi giallo-neri, “per adulti”, della quadrilogia di Duca Lamberti, inaugurata nel 1966 e percorsa da una violenza feroce e da un brivido di sesso (be’ sì, per i tempi erano piuttosto osé).

C’erano Lamberti, medico radiato perché ha praticato l’eutanasia, i cadaveri gettati nel Naviglio, i milanesi che ammazzano il sabato e la nebbia che cancella tutto all’alba, quando le ragazze di buona famiglia hanno perso l’onore e la vita, e le entraîneuses smontano dai peccaminosi night club. Al cinema, in Venere Privata di Yves Boisset (1970), Duca ebbe in prestito la faccia di un altro seducente antipatico, l’attore francese Bruno Cremer (poi Maigret in tv) e vi compariva una giovanissima Raffaella Carrà, in insolita versione sexy.

Di Scerbanenco, scrittore iper prolifico, russo ma italiano dai sei mesi di vita, e adatto ad ogni genere, letterario o giornalistico – fu redattore in Rizzoli e Mondadori e uno specialista, in senso largo, della posta del cuore – si nota meno oggi, ma spiccava molto allora, la mancanza di illusioni e di un credo nelle sorti progressive dell’Italia che usciva dalla povertà. Be’ sì, era considerato uno scrittore di destra, ma amen. Può darsi però che come diceva Engels di Balzac…

IL LIBRO Giorgio Scerbanenco, Stazione Centrale ammazzare subito, La Nave di Teseo

Foto: Gloriettina

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