
Sembra preistorico il tempo in cui un nevrotico e occhialuto intellettuale, più d’aspetto che di spessore – lo nota lui paragonandosi a Philip Roth – con i suoi film faceva ridere il mondo civilizzato, cioè Manhattan e capitali europee, e si portava a letto le donne più belle.
Due tempeste hanno reso Woody Allen (1935) un fantasma a New York: l’accusa di pedofilia nei confronti della figlia Dylan, capo d’imputazione maggiore e tutto mediatico, poiché mai arrivato in giudizio, della intricata querelle con Mia Farrow. Cui segue, dopo un sereno periodo artistico e famigliare accanto a Soon-Yi, la campagna del #MeToo. Allen è preso tra i bersagli, e processato da media e colleghi una seconda volta per l’identico reato, cosa non usuale nel diritto.
In USA ora nessuno vuole piu lavorare con lui, gli bannano i film e nemmeno gli pubblicano l’autobiografia A proposito di niente (La Nave di Teseo), uscita in anteprima in traduzione italiana: qui ispira qualche riflessione.
La prima. Woody Allen non è lucido (o si sforza di non esserlo) in un punto solo del suo memoir. Quando si augura – sopravvalutando l’intelligenza del lettore – che questi non abbia comprato o scaricato il libro solo per leggere di lui, di Mia, Dylan, Ronan-Satchel e Soon-Yi.
Il re dell’understatement qui si sopravvaluta, credendo che di lui ci interessi sapere che cosa pensa esattamente di Tennessee Williams o degli autunni di Central Park. Oltretutto Allen un po’ – e molto umanamente – si contraddice: dedica alla vicenda che gli ha distrutto la reputazione un’ottantina di pagine, costruite senza palesi sacrifici del suo humour nero ma con una meticolosità degna del processo mai celebrato – mentre occupa di media solo due o tre pagine per ogni film, riuscito o meno.
Lo scandalo d’altronde non lo ha toccato – spiega con una battuta – salvo costringerlo a uscir di casa, lui innocente, “con occhiali e baffi finti”, citando la gag dei genitori del rapinatore di Prendi i soldi e scappa.
Ognuno può farsi la sua idea se Allen sia sincero sul caso Farrow. Noi siamo sicuri che menta nel resto del libro – scorrevole, divertentissimo e cupissimo a un tempo, denso di aneddoti e battute. Lo fa tutte le volte che si raffigura estraneo all’empireo dei maghi della celluloide – lui peraltro abile come prestigiatore dilettante.
Allen insiste troppo (per essere vero) sulla sua mancanza di genio – il genio è l’elemento che per esempio sì è dimenticato di aggiungere in Settembre, facendone un flop drammatico – e sull’unica esigenza di avere tra le mani una sceneggiatura di buon artigianato, niente di più, niente di meno. Oppure civetta un po’ riguardo la sua imperfezione quando gira, sull’incompetenza tecnica e la pigrizia che lo porta spesso a trovarsi disperato in fase di montaggio.
Ma è in questa sottovalutazione costante che si manifesta l’understatement radicale che appartiene tanto all’uomo Allen quanto all’artista. Come nei suoi migliori film comicità e dramma si intrecciano in un memoir che racconta in maniera convincente una vita illuminata dal talento e dal sentimento della precarietà – moriamo tutti, alla fine, so what? Che differenza fa, si domanda Allen, tra l’esser ricordato come un regista o come un pedofilo?

Restano agli atti un’infinità di particolari curiosi sull’infanzia di Allen e sui debutti da battutista e da stand up comedian, sui film, amati e non, serviti da una serie di battute appartenenti al Woody che gioca vertiginosanente al ribasso di se stesso (e del mondo intero). E molti gustosi episodi spiegano l’uomo. Esempio: non rifiuta i premi, ma non si reca a prenderli di persona (Oscar compresi), così è particolarmente divertente una trasferta a Oviedo, onorato dai reali di Spagna. La misantropia ostentata non cede nemmeno di fronte a proposte che parrebbero allettanti: invitato dal suo mito, Ingmar Bergman, ad andarlo a trovare nell’isola romita di Fårö, Allen lo snobba per futili idiosincrasie simili a quelle che gli impediscono di passare un week end nell’odiata campagna. Meglio Manhattan, quella di tanti anni fa.

IL LIBRO Woody Allen, A proposito di niente (La Nave di Teseo)
Foto: Gian Angelo Pistoia, John Paul