CRONACHE CORONICHE. Parlando di VIRUS con i pazzi ai giardinetti

1. Cammino nei giardinetti polverosi, più volte inutilmente seminati, di una zona popolare di Milano. Sorpasso i resti di un’edicola e vado a salutare i miei amici Sara e Nic, ristoratori cinesi, che gestiscono da un paio d’anni all’angolo della piazza un AYCE frequentatissimo.

Mi aspetto di trovare il locale vuoto, invece è addirittura sbarrato. Come il tabacchi, pure a conduzione cinese, di fianco. Un foglietto sulla serranda chiede scusa in modo un po’ involuto ma dignitoso e avvisa che non si poteva tenere aperto “data la situazione sanitaria circostante”.

Mi immagino che Sara e Nic stiano guardando sul web e sui quotidiani i titoli senza pietà contro il governo-virus dei fogli di destra e i pezzi enciclopedici dei giornali di sinistra incapaci però di rinunciare ai motteggi degli editorialisti di costume su Milano città chiusa e su maschere di carnevale&mascherine bianche.

Durante la mattinata bevo in assoluta solitudine un caffé corretto Sambuca in un bar cinese in viale Porpora – deserto ma aperto: non c’è dunque una strategia globale dell’Uomo Che Sta Dietro A Tutti I Locali Cinesi d’Italia – e a mezzogiorno compro un toast in un bar libreria (deserto ma italiano).

2. Mangio su una panchina vicino a uno dei soliti dropout del piccolo parco. Come tutti i dropout ha un’idea radicale sulla pandemia, cita Darwin e fa paragoni dotti con l’estinzione dei dinosauri. Dice che anche in questo caso, come per dinosauri, non si può stare sereni. Di palo in frasca, passiamo a discutere in modo quasi salottiero di altri argomenti poco allegri, di morte e eutanasia. Lui dice che è contrario all’eutanasia per gli umani, poiché possono coltivare in sé fino in fondo qualche ragione per camminare su un personale Calvario, ma per gli animali è favorevole; e si capisce che non è una diminutio dello status di cani e gatti, anzi; dice che gli animali hanno gli occhi puri nel dolore, come prima che venisse inventata la storia individuale.

Per caso nel bar libreria ho appena scorso un vecchio libro di Sebastiano Vassalli, in vendita a un euro, che spiega come, tramite gli aedi tipo Omero, siamo sfuggiti all’indistinto nulla di nascite e morti senza senso e senza specificazione. Imbastardendoci noi, però. Ci salutiamo. Il mio nuovo amico si chiama Vittorio Emanuele, un nome che non si usa più – per via di un nonno, dice – e si scusa quasi, pensando ai reali d’Italia. Almeno per oggi non sento il bisogno di ascoltare delle dichiarazioni di vecchi arnesi della politica.